domenica 27 ottobre 2013

Zitelle, dal conflitto alla consociazione, dall'orto al giardino

Titolo un po' ermetico direte voi; l'ispirazione mi viene da un mio passato scambio di vedute con Daniela, compagna di erbe e verdure (che spero mi legga dalla lontana Cina), e dalle mie ultime due letture "Giardini, paesaggio e genio naturale, di Gilles Clement" e "E il giardino creò l'uomo, un manifesto ribelle e sentimentale per filosofi giardinieri, di Jorn de Précy".

Cosa mi hanno ispirato Daniela, Gilles e Jorn?
Con Daniela si è parlato delle varie motivazioni personali che ci spingono a frequentare il nostro spazio delle Zitelle. Io ero un convinto assertore dell'autoproduzione, ci vado e ci andavo perché, parafrasando Wendell Berry "coltivare è un atto politico". Daniela mi ha risposto: "per me è altro". Voglio dare una mia interpretazione di questo "altro"per me.
Per dire cos'è quest'altro chiamo in aiuto le mie due ultime letture, Clement e de Précy. Questi due autori mi fanno vedere il luogo di cui ci prendiamo cura sotto un altro aspetto; ho sempre sospettato che quello non fosse solo un semplice orto, l'ho sempre visto come qualcosa di più ampio, completo, con la sua diversità (la vigna, il resto dello spazio non gestito da noi, la laguna che lo lambisce)  e con le sue complesse relazioni umane e naturali, ma non ho mai usato una parola precisa per descriverlo, se non orto. Etimologicamente orto è un po' difficile da interpretare, è sempre rimasto nel limbo, si dice abbia la stessa radice di giardino, gart-hort ma in italiano giardino e orto si sono lentamente divisi mentre in altre lingue hanno mantenuto la loro unità.
Con questo non voglio certamente rinnegare il mio status di ortolano, ma mi piacerebbe pensare al nostro spazio come ad un giardino, dove non si coltiva solo per la pancia ma anche per l'anima. E' in realtà quello che ognuno di noi ha sempre fatto, soprattutto quando ci troviamo soli, noi e la natura, i nostri cinque sensi che entrano in simbiosi con quello che ci circonda e che soddisfa quello che sappiamo essere un nostro bisogno primario che l'ambiente "altro" in cui viviamo non può appagare, la spiritualità, che Jorn de Précy chiama "mistero".
Gilles Clement  ritorna al concetto di giardino come "giardino planetario" e quindi giardiniere è colui che si prende cura del nostro pianeta, inteso come hortus conclusus, spazio finito.
Stare in giardino, nel tuo giardino, o comunque quello che senti come tuo non è come sdraiarsi su un prato o passeggiare nei vialetti di un parco pubblico. Prendersi cura della terra, sporcarsi, sudare e contemporaneamente meditare, è un atto intimo e politico allo stesso tempo, come dice Clement "il giardino di oggi non riesce a contenersi entro il tradizionale recinto, anzi, costringe tutto il vicinato alla condivisione". Il nostro giardino, condiviso, è una prova di quello che potrebbe essere il giardino più ampio, la Terra, un giardino in continua evoluzione, dove le persone, i giardinieri, si prendono cura di un paesaggio in costante movimento.

Alla consegna di un lavoro, l'architetto può ritenere che la casa sia terminata; alla consegna del suo lavoro, il paesaggista sa che il giardino comincia. (G. Clement)

L'espulsione degli dèi non poteva non trasformare l'aspetto del mondo, cioè lo spazio in cui viviamo, ed è nelle città che questa trasformazione può essere percepita più facilmente.
Un tempo, la città scaturiva da un territorio. Manteneva legami stretti, anzi vitali, anche su un piano estetico, con la campagna che la circondava e la nutriva (J. de Précy).

1 commento:

  1. che dire, a me il nostro orto-giardino è sempre piaciuto, anche quando è stato trascurato, con il suo aspetto caotico, mai improduttivo, sempre piacevole e rigenerante. E pieno di buone e odorose sorprese. Potrebbe essere meglio, certo, ma lui è lo specchio di noi stessi. Non possiamo che volergli bene. Caro orto, o giardino che tu sia, mi piaci così come sei!

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